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Possiamo mangiarle, fabbricare la carta da esse e ora le alghe si rivelano anche una rivoluzionaria fonte di bioenergia.
La coltivazione delle alghe come biocarburante, oltre ad essere molto più economica del petrolio e delle altre fonti di produzione del biodiesel, ha un rendimento di molto maggiore: per ogni acro (0,4 ettari) di coltivazione, la soia produce 50 galloni di olio (un gallone è pari a circa 3,78 litri), la colza 150 galloni, la palma 650 galloni, mentre dalle alghe si ricaverebbero ben 10.000 galloni di olio per acro.
Infatti le alghe, di soli 5 micron di dimensioni, hanno l’aspetto di un fango di colore verde dal quale è possibile estrarre grandi quantità di grassi (fino al 50%, secondo le stime dell’ENEA, che è stata il primo istituto in Italia ad interessarsi di questo argomento) da utilizzare come combustibile, inoltre hanno un ciclo vitale talmente veloce che non sarebbe necessario attendere mesi prima di poter disporre di un raccolto.
Un altro vantaggio essenziale, forse il maggiore, è che la coltivazione delle alghe può essere svolta in modo da non sottrarre suoli all’alimentazione umana, né impoverire gli elementi del terreno o avvelenarlo con pesticidi, di cui non c’è bisogno: si possono utilizzare aree incolte o poco produttive, dal momento che questi organismi crescono – e a volte prosperano – anche in condizioni ambientali poco favorevoli. Usando sistemi di vasche chiuse, poi, è possibile limitare al massimo la dispersione di acqua e quindi permettere questo tipo di coltura anche in Paesi con poca disponibilità. Addirittura, la coltivazione delle alghe in acque reflue o salmastre potrebbe essere utile per ripulirle dai composti azotati. Rispetto ad altre fonti di energia, inoltre, la coltivazione delle alghe non produce CO2 (anzi, ne assorbe fino a due chili per ogni chilo di biomassa) né scorie tossiche. Dopo il loro utilizzo, gli “scarti di produzione” possono essere utilizzati per produrre idrogeno tramite fermentazione (fino a 5 metri cubi), come cibo per animali, perfino come fertilizzanti; oppure semplicemente essere reimmessi nel ciclo di coltivazione per rivitalizzare le acque utilizzate in coltura.
L’Italia
Le grandi potenze mondiali come gli Stati Uniti e la Cina si stanno già interessando in modo pratico a questa fonte rinnovabile, ma anche l’Italia è su questa strada: una centrale ad alghe è stata progettata per il porto di Marghera a Venezia: alimentata dalle alghe che crescono nella laguna veneziana, sarà situata in un’area dismessa dello stesso porto e utilizzata per produrre idrogeno e monossido di carbonio. Quando sarà completato, l’impianto potrà autoalimentarsi, fornire di energia il porto di Marghera e anche parte del centro storico della città lagunare.
(Tratto da Promiseland)
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lunedì 14 marzo 2011
Energia alternativa....dalle alghe!
Possiamo mangiarle, fabbricare la carta da esse e ora le alghe si rivelano anche una rivoluzionaria fonte di bioenergia.
La coltivazione delle alghe come biocarburante, oltre ad essere molto più economica del petrolio e delle altre fonti di produzione del biodiesel, ha un rendimento di molto maggiore: per ogni acro (0,4 ettari) di coltivazione, la soia produce 50 galloni di olio (un gallone è pari a circa 3,78 litri), la colza 150 galloni, la palma 650 galloni, mentre dalle alghe si ricaverebbero ben 10.000 galloni di olio per acro.
Infatti le alghe, di soli 5 micron di dimensioni, hanno l’aspetto di un fango di colore verde dal quale è possibile estrarre grandi quantità di grassi (fino al 50%, secondo le stime dell’ENEA, che è stata il primo istituto in Italia ad interessarsi di questo argomento) da utilizzare come combustibile, inoltre hanno un ciclo vitale talmente veloce che non sarebbe necessario attendere mesi prima di poter disporre di un raccolto.
Un altro vantaggio essenziale, forse il maggiore, è che la coltivazione delle alghe può essere svolta in modo da non sottrarre suoli all’alimentazione umana, né impoverire gli elementi del terreno o avvelenarlo con pesticidi, di cui non c’è bisogno: si possono utilizzare aree incolte o poco produttive, dal momento che questi organismi crescono – e a volte prosperano – anche in condizioni ambientali poco favorevoli. Usando sistemi di vasche chiuse, poi, è possibile limitare al massimo la dispersione di acqua e quindi permettere questo tipo di coltura anche in Paesi con poca disponibilità. Addirittura, la coltivazione delle alghe in acque reflue o salmastre potrebbe essere utile per ripulirle dai composti azotati. Rispetto ad altre fonti di energia, inoltre, la coltivazione delle alghe non produce CO2 (anzi, ne assorbe fino a due chili per ogni chilo di biomassa) né scorie tossiche. Dopo il loro utilizzo, gli “scarti di produzione” possono essere utilizzati per produrre idrogeno tramite fermentazione (fino a 5 metri cubi), come cibo per animali, perfino come fertilizzanti; oppure semplicemente essere reimmessi nel ciclo di coltivazione per rivitalizzare le acque utilizzate in coltura.
L’Italia
Le grandi potenze mondiali come gli Stati Uniti e la Cina si stanno già interessando in modo pratico a questa fonte rinnovabile, ma anche l’Italia è su questa strada: una centrale ad alghe è stata progettata per il porto di Marghera a Venezia: alimentata dalle alghe che crescono nella laguna veneziana, sarà situata in un’area dismessa dello stesso porto e utilizzata per produrre idrogeno e monossido di carbonio. Quando sarà completato, l’impianto potrà autoalimentarsi, fornire di energia il porto di Marghera e anche parte del centro storico della città lagunare.
(Tratto da Promiseland)
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